La rivoluzione della moda sostenibile e dei tessuti biologici.
Si può essere “fashion victim” non solo per via della dipendenza dallo shopping, ma anche in modo incosapevole, per esempio ignorando il fatto che proprio la moda sia la seconda industria più inquinante al mondo. Solo per la produzione di cotone vengono impiegate 900 mila tonnellate di prodotti chimici nocivi ogni anno nel mondo. Il nemico a volte si nasconde nell’armadio, sotto le mentite spoglie del tubino nero preferito o dei jeans scuri che ci regalano una silhouette invidiabile!
Danni sconosciuti ai più che impattano sull’ambiente per via delle sostanze inquinanti e non biodegradabili che finiscono nelle acque reflue e (neanche a dirlo) in fiumi e mari da cui traiamo acqua e cibo.
Ma non meno rilevante è la faccenda del bio-accumulo, ovvero tutte quelle sostanze che attraverso i capi di abbigliamento che indossiamo vengono assorbite dalla nostra pelle, talvolta agendo persino sul sistema ormonale modificandolo geneticamente.
Non è un caso che moltissimi brand si siano convertiti ormai da anni alla moda sostenibile, anche e soprattutto sulla spinta delle richieste sempre più insistenti della propria clientela. Per fare alcuni nomi: Benetton, Mango, Zara, H&M, Nike, Puma, Levi’s, e Adidas. Ma sono le realtà emergenti e giovani a dare maggiore importanza a questo aspetto, come Tiziano Guardini, lo stilista romano che ricicla anche le reti da pesca per le sue collezioni, mentre Roberta Gentile di TU&TU utilizza bamboo, lino invernale, canapa, ortica e soia per dare vita ai suoi abiti dalle tonalità naturali.
Certo non è semplice trovare abbigliamento realizzato con materiali bio e in modo sostenibile. Si tratta di un mercato ancora di nicchia e siamo certamente all’inizio di una rivoluzione ancora da venire; ma è un dato di fatto che le aziende, se non per spirito umanitario, dovranno pur seguire le preferenze dei clienti, almeno per non diminuire i fatturati. Il settore alimentare e quello cosmetico ne sono la prova!
Considerate che secondo i dati di Unioncamere, il 29,1% delle aziende tessili italiane ha cominciato a produrre o investire nel green e che è in costante crescita la richiesta di trasparenza della filiera produttiva dei tessuti da parte dei consumatori italiani, soprattutto per la moda bimbi, per i quali si è disposti a spendere di più per prodotti più sicuri.
Ma come possiamo muoverci in questo mondo nuovo? Ci sono alcune certificazioni rilasciate da enti locali o internazionali che possono aiutarci nella scelta di capi più sicuri. Tra le più importanti troviamo: Gots – Global organic textile standard, Ocs – Organic content standard, Grs – Global recycle standard e Fsc – Forest stewardship council.
Se ne abbiamo la possibilità cerchiamo, soprattutto per i bambini, capi realizzati in tessuti biologici, ovvero prodotti senza l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi chimici, da semi non modificati geneticamente, che hanno un minore impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo.
Tra gli aspetti positivi di queste fibre bisogna anche annoverare una maggiore resistenza dei tessuti al lavaggio e all’usura, una maggiore traspirabilità e un minor rilascio di colore durante il lavaggio. Tutte ragioni che giustificano il costo leggermente più alto dei prodotti in tessuto biologico.
Green will be the new Black.